Jordan Pickford: l’umile ragazzo di Sunderland passato dall’Xbox ai campi più prestigiosi al mondo

Crescere nei sobborghi di Sunderland e tifare per i ‘Black Cats’ è quasi una legge sportiva che ti porti dentro ancor prima di venire alla luce. Jordan Pickford è l’esempio perfetto di chi si è ritrovato ad amare i colori del Sunderland quando ancora si nutriva dentro il pancione di sua madre Susan. 

Nato a Washington, cittadina inglese di 67.000 abitanti situata nella contea di Tyne and Wear, Jordan ha passato i suoi primi anni di vita a comprendere quali legami ci fossero tra la sua città natale e la capitale degli Stati Uniti, e del perché il suo antenato Barrie decise di cambiare il cognome Pigford in Pickford. Ben presto scoprì che l’antenato era il nonno e che era stanco di veder prendere in giro in figlio Lee, chiamato un giorno sì e l’altro pure “Piggy”. Nulla che possa aver stuzzicato la fantasia di Jordan, che già da bambino aveva un solo scopo: difendere i pali del Sunderland. 

Ci riuscì subito, ma dovette accontentarsi di far parte del vivaio. La frenesia era tanta, la voglia di mettersi alla prova troppa. Quando il padre Lee (il Piggy citato poc’anzi) non poteva accompagnarlo agli allenamenti, ci pensava mamma Sue a regalare un sorriso a Jordy. Quest’ultimo si sedeva nei sedili posteriori del taxi e, tra un manicaretto di mamma e l’altro, attendeva con ansia di varcare i cancelli del Charlie Hurley Center prima e del SAFC Academy of Light dopo.

A 17 anni voleva già passare in prima squadra. Ma, come ogni professionista che si rispetti, ha dovuto prima fare i conti con la gavetta. E’ andato in prestito al Darlington, all’Alfreton Town, al Burton Albion, al Carlisle United, al Bradford City e infine al Preston North End. Si è fatto le ossa, e nel frattempo chiedeva ai suoi followers su Twitter di aggiungerlo sull’Xbox, per poi andare al cinema con la ragazza per vedere “Fast and Furious”. 

Pickford non solo non ha mai smesso di crederci, ma non perse mai la sua umiltà. Nel 2016 arriva finalmente la grande occasione: essere il portiere titolare del Sunderland in Premier League. Fu una rivelazione ma, nonostante l’ottimo debutto nella massima serie, il Sunderland quell’anno retrocesse e Pickford si ritrovò ad essere corteggiato dall’Everton. L’amore per i ‘Black Cats’ era sconfinato, ma si trovava in rampa di lancio e non poteva fare dei passi indietro. La carriera non aspetta. Accettò dunque la corte dei ‘Toffees’, che sborsarono 25.000.000£ per prelevarlo, cifra che lo ha reso per un breve periodo il portiere più costoso nella storia del calcio britannico. 

Nel club di Liverpool, dal 2017 ad oggi, ha collezionato 197 presenze. Su di lui sono puntati gli occhi dei migliori club di Premier, tra cui quelli del Manchester United che inizia a fare i conti con la carta d’identità di De Gea che avanza. E quale profilo sorvegliare se non quello del portiere della Nazionale inglese?

Con la maglia dei Tre Leoni Pickford diventa titolare sin da subito, ereditando il posto di Joe Hart. Nei Mondiali del 2018 para i rigori ai colombiani Bacca e Uribe e si ripete successivamente in Nations League finendo nella formazione ideale del torneo e vincendo il premio di miglior portiere della competizione. Ad Euro 2020 contribuisce ai successi dell’Inghilterra subendo il primo gol soltanto in semifinale contro la Danimarca; inoltre ha stabilito il record d’imbattibilità per un portiere della nazionale inglese con 725 minuti. Record detenuto prima d’allora da Gordon Banks con 721 minuti. In finale gli inglesi persero ai rigori contro l’Italia, ma Pickford ne uscì ancora una volta a testa alta, neutralizzando i tiri dal dischetto di Belotti e Jorginho. 

Jordan è la dimostrazione di come la passione, nella vita, fa compiere grandi passi. Gli rimproveravano che era troppo basso, ma si è sempre fatto scivolare tutto addosso dall’alto dei suoi 184 centimetri. Ha inseguito il suo sogno con tanta volontà e determinazione e oggi, oltre a fare da padre al piccolo Arlo, calca i campi più prestigiosi al mondo. E non più solo sull’Xbox.

di Andrea Bosco

Wojciech Szczęsny verso Qatar 2022: il riscatto di uno dei portieri più sottovalutati di sempre

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Nessuna aspettativa, solo grandi sogni. È questo il pensiero di Wojciech Szczęsny nei riguardi del Mondiale in Qatar, in programma tra due giorni. Tech (soprannome affibbiatogli da un suo amico inglese ai tempi dell’Arsenal) crede molto nella sua Polonia, ma non si sbilancia; lo fa con ironia, per non mettersi pressione. 

Fa sempre comodo arrivare in una competizione con la mentalità e il ruolo da spauracchio. A 32 anni l’estremo difensore polacco si prepara a difendere i pali della sua nazione con coraggio e quel pizzico di leggerezza atta a smorzare l’ansia da grande evento. Ma, nonostante provi a mascherarlo, il buon Wojciech sente molto questo Mondiale. Non solo dal punto di vista anagrafico – “Mondiale 2026? Dopo questo vedremo cosa accadrà e come starò di testa e di fisico. Non credo di smettere fino a 40 anni, ma realisticamente non so quanto potrò dare fra 4 anni, al prossimo Mondiale” – bensì per un discorso puramente morale. Una vittoria da dedicare a Marina, la sua consorte di origine ucraine, al figlio Liam, a tutta l’Ucraina (scrisse una lettera alla UEFA sui fatti della guerra) e a quegli europei che vorrebbero vedere il proprio continente riportare in alto i valori della pace, dell’indipendenza e della libertà. 

Un calcio alla guerra in un evento sportivo che per molti profuma di riscatto, nonostante la cultura qatariota lasci a desiderare. Riscatto che Tech ha più volte assaggiato e ottenuto nel corso della sua carriera.

Dopo essere cresciuto nel vivaio del Legia Varsavia, nel 2008 passa alle giovanili dell’Arsenal, per poi essere promosso un anno dopo in prima squadra alle spalle del connazionale Fabianski e del n.1 dei Gunners di quell’epoca Manuel Almunia. Per anni ha cercato di mettersi in mostra tra esordi europei, rigori parati e tanto duro lavoro. Ma proprio quando stava per scalare le gerarchie e conquistarsi il ruolo da titolare, il 28 agosto 2011 l’Arsenal venne battuto per 8-2 dal Manchester United all’Old Trafford. Suo malgrado Szczęsny divenne il primo portiere dei Gunners, dopo 115 anni, a subire 8 gol in una singola partita.

Chiunque, a 21 anni, si sarebbe demoralizzato, abbattuto, perdendo fiducia e sicurezza nei propri mezzi. Tech no. Si è saputo rialzare con immediatezza, giocando tutte le partite di campionato. Un anno dopo ottiene la titolarità, ma non è durata molto. Giusto qualche anno, il tempo di farsi beccare a fumare negli spogliatoi del St. Mary’s Stadium di Southampton. 26.000£ di multa e addio posto fisso, per la felicità di Ospina e la rabbia di Arsène Wenger che non digerì affatto la condotta di Tech.

La possibilità di riscatto gliela presenta Spalletti e la Roma per ben due volte, entrambe in prestito. Il primo anno se la cavò discretamente, meritandosi il rinnovo. Il secondo si rese protagonista mantenendo la porta inviolata per 14 giornate, meritandosi la Juventus, che lo acquistò a titolo definitivo. Ma anche a Torino la costanza non fu amica. Fu preso come vice Buffon, con la speranza di poter diventare presto l’erede di Gigi tra i pali della Vecchia Signora. Un anno di apprendistato dov’è riuscito a convincere società e tifosi. Buffon emigra inspiegabilmente sotto alla Tour Eiffel e Tech ha finalmente campo libero per esprimersi. 

Dal 2017 ad oggi ha collezionato 146 presenze e 124 gol subiti. Nonostante le incertezze di quest’inizio di stagione – che hanno scatenato malumori e polemiche tra la tifoseria – Szczęsny si è rialzato di nuovo, vantando un clean sheet che dura da 6 partite. Uno dei portieri più sottovalutati di sempre, che non ha mai conosciuto la parola resa e che si appresta oggi a guidare la sua nazione in Qatar 2022 senza aspettative, ma con grandi sogni.

 di Andrea Bosco

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